Complottista sarà lei, o forse io

Portare a galla la verità con il debunking non basta a fermare chi vede complotti ovunque. Il cospirazionismo fa leva su meccanismi cognitivi universali

Cominciò negli Stati Uniti negli anni ‘60 per trovare i mandanti occulti dell’assassinio di JFK. Da lì in poi abbiamo visto narrazioni alternative sui temi più disparati, sostenute da argomentazioni che possono sembrare fantasiose ma, in tanti casi, resistono nel tempo e riescono ad aggregare un numero anche ragguardevole di persone.

Esiste una teoria del complotto per tutto. Dalla vera natura delle scie chimiche ai responsabili degli attacchi dell’11 settembre, dalla morte di Lady Diana alle lotte per costituire un Nuovo Ordine Mondiale, il cospirazionismo trova terreno fertile ovunque ci sia un fatto o un fenomeno dai contorni anche minimamente sfumati.

La pandemia ha offerto parecchio materiale su cui lavorare, peggiorando l’infodemia con presunti intrighi globali sull’origine del virus, gli interessi nascosti dietro ai vaccini, l’ombra lunga del ‘sistema’ sulle decisioni relative ai vari lockdown. Fossero solo chiacchiere social, forse potremmo lasciarle dove sono. Ma sempre più queste teorie sono pericolose perché producono effetti nel mondo reale orientando i comportamenti delle persone, che ad esempio rifiutano di indossare la mascherina o farsi vaccinare. Oppure assaltano Capitol Hill a Washinton.

È abbastanza facile riconoscere un complottista: in genere parla di ‘poteri forti’ e piani segreti per conquistare o distruggere il mondo, verità occultate e prove distrutte dai responsabili che non vogliono essere scoperti, media complici perché non danno spazio e credito alla teoria. Chiunque neghi l’esistenza del complotto è additato come ignorante, succube della cultura dominante, se non addirittura fiancheggiatore del complotto stesso.

Ma se è così semplice identificare una teoria del complotto, perché non basta svelare l’inganno per metterlo a tacere? La verità non dovrebbe essere più forte di qualsiasi obiezione?

Siamo davvero nel pieno dell’epoca della post-verità, non ha più senso parlare di vero e falso su argomenti in cui le opinioni sono fortemente polarizzate. Ci sono narrazioni mainstream e narrazioni alternative, le fake news possono esistere da entrambe le parti”, ha spiegato Walter Quattrociocchi, professore associato presso l’Università Sapienza di Roma, che su LinkedIN scrive: “Spesso ci viene chiesto cosa dobbiamo fare per uscire da queste dinamiche di polarizzazione in cui ognuno pensa di aver ragione e nessuno ascolta. La risposta è sempre la stessa. Stiamo cercando di capirlo”.

Una delle strategie più usate per smontare bufale e complotti – ovvero il debunking – sta mostrando tutti i suoi limiti perché lavora quasi esclusivamente su un piano razionale, portando dati, esempi ed elementi fattuali che contraddicono la teoria cospirazionista e ne fanno cadere i presupposti. Ma i teorici del complotto lavorano su un piano ben diverso e molto più profondo.

In un recente intervento su La Repubblica, Anna Ichino dell’Università degli Studi di Milano e Lisa Bortolotti della University of Birmingham hanno precisato che i tratti caratteristici del pensiero complottista rispondono a bisogni psicologici che noi tutti abbiamo, come il bisogno epistemico di avere spiegazioni e certezze su quello che accade intorno a noi, il bisogno di controllare la realtà e assegnare responsabilità (soprattutto colpe), il bisogno di sconfiggere la solitudine e la paura facendo parte di un gruppo. Magari un gruppo un po’ controcorrente, che ci illuda di essere speciali e avere accesso a verità nascoste, destinate a pochi eletti.

Siamo meno razionali di quanto pensiamo di essere, anche se non lo ammettiamo volentieri. Per questo non è così remota la possibilità di rimanere affascinati, prima o poi, da una qualche forma di teoria del complotto, che gioca appunto su meccanismi cognitivi universali e allontana i debunker come dei guastafeste, che vogliono rompere la bolla all’interno della quale ci isoliamo.

Poiché negazionismo e cospirazionismo tendono a proliferare in ambienti disagiati o di svantaggio, le due ricercatrici indicano nel rafforzamento della coesione sociale e dei valori di comunità una possibile via d’uscita, da accompagnare a interventi mirati per ridurre le diseguaglianze e ristabilire la fiducia nelle istituzioni.

Interessante anche lo spunto del collettivo di scrittori Wu Ming, che già nel 2018 su Internazionale auspicava l’avvento di nuove pratiche di debunking capaci di riconoscere i bisogni intercettati dal complottismo e affrontare in modo diverso il problema della verità. Immaginando il debunker come un prestigiatore, l’idea è quella di smontare un complotto senza deludere chi ci ha creduto, come “rivelare il trucco dietro un numero di magia senza rovinarne l’incanto, anzi, amplificando il senso di meraviglia, ma spostandolo su un piano di maggiore consapevolezza: dal semplice stupore per l’effetto al più complesso stupore per le tecniche utilizzate e il grande impegno necessario a far riuscire il trucco”.

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