La globalizzazione ci ha abituato a trovare gli stessi abiti e gli stessi cibi in qualsiasi città del mondo. Ma abbiamo sempre più voglia di notizie – e buone storie – locali
Le vetrine del centro di Milano non sono poi così diverse da quelle di Tel Aviv, lo smartphone che acquisto a New York è lo stesso che trovo a Singapore. È uno degli effetti della globalizzazione, con tanti brand che sono riusciti a imporsi a livello mondiale proponendo pressoché ovunque gli stessi prodotti e servizi.
Ma l’equivalenza ‘globalizzato = omologato’ ha mostrato nel tempo più di uno scricchiolio, e lo stesso mercato che aveva accelerato la standardizzazione è tornato a pretendere maggiore attenzione per le specificità dei diversi Paesi, dei territori e delle loro comunità. Le multinazionali hanno quindi cambiato marcia, andando a localizzare e adattare l’offerta. In Italia non troviamo allora la Fanta al gusto mirtillo, ma la bibita fatta al 100% con arance nazionali. McDonald’s non solo diversifica i menù, ma ha lavorato sulla filiera facendo accordi con 15 mila allevatori italiani per l’approvvigionamento di carne bovina, e sostiene l’agricoltura locale finanziando una serie di progetti sostenibili di giovani coltivatori.
La stessa tendenza ha contagiato i media, che vedono nell’informazione geolocalizzata una delle chiavi per contrastare il continuo calo di copie vendute e investimenti pubblicitari. Così, dopo quarant’anni, nell’estate 2017 è tornato nelle edicole di Livorno lo storico quotidiano Il Telegrafo, la Gazzetta dello Sport ha lanciato delle edizioni locali dedicate alle squadre cittadine e provinciali (l’ultima a Genova lo scorso aprile), RCS ha da poco festeggiato il primo anno di Corriere Torino.
L’editoria locale si mostra peraltro incline all’innovazione digitale. Il Gruppo Gedi ha ad esempio avviato il restyling dei portali dei suoi quotidiani locali, dal Mattino di Padova a Il Tirreno, con un formato che accoglie alcune delle tendenze più recenti, ovvero la crescente lettura da smartphone e il maggior gradimento dei contenuti video. Anche Il Messaggero Veneto ha rafforzato le attività online, che già aggregano una community di 45 mila lettori fedelissimi.
Ma c’è chi sta facendo un passo ancora più audace. Intervistato da D La Repubblica, il chief product officer di Netflix, Greg Peters, ha spiegato che “Nel mondo delle belle storie non esistono confini […] Non ha senso differenziare il pubblico in base a categorie tradizionali come nazionalità, età, genere o reddito. La stessa serie può far battere il cuore a un settantenne francese e una teenager giapponese”.
La nuova scommessa è quindi creare e distribuire prodotti o contenuti che riescano a essere realmente glocal, ovvero raccontare storie estremamente locali, ma capaci di emozionare un pubblico internazionale. Netflix ha rotto gli indugi con 3%, la serie lanciata in Brasile nel 2016 e poi diffusa in 190 Paesi mantenendo il doppiaggio in lingua originale con l’aggiunta di sottotitoli. Lo stesso schema ha funzionato con Suburra o Narcos, e anche la RAI ci ha provato con I Medici e la mini serie L’amica geniale, dove il parlato originale è in larga parte in dialetto napoletano.
In un mondo globale, i prodotti pre-confezionati e standardizzati non bastano più. Quando si tratta di storie, meglio qualcosa di autentico, che sappia restituire il senso delle persone, del loro tempo e dei loro luoghi, toccando corde che in fondo sono universali.