Finti follower e scarsa trasparenza frenano le aziende che vorrebbero investire di più nell’ influencer marketing. Ma la difficoltà è soprattutto quella di misurare l’efficacia delle campagne.
Quasi il 65% delle aziende italiane ha provato la leva dell’ influencer marketing, dice l’ Influencer Marketing Report 2018 di IED Milano e AKQA, e il 79% intente aumentare il budget dedicato a questa attività nel corso di quest’anno ampliando la collaborazione sia con i blogger VIP, sia con i micro influencer.
Ma quando un direttore marketing si avvicina al mondo degli influencer, una delle prime domande è: come facciamo a sapere chi conta davvero? È noto che almeno il 15% degli account Instagram espone un numero gonfiato di follower e interazioni e, nonostante i tentativi (un po’ goffi) di ripulire le piattaforme da bot e profili fake, la trasparenza resta uno dei talloni d’Achille dell’ influencer marketing.
Viene in aiuto la stessa tecnologia: esistono oggi metodologie collaudate che permettono di smascherare i comportamenti fraudolenti, valutando l’affidabilità di un blogger e la bontà del suo lavoro. Non basta contare i fan, si deve ad esempio analizzare il rapporto tra reach (il numero di persone che hanno visto un post) e follower (il numero di persone che seguono un certo profilo) che, se troppo basso, rivela una quota sospetta di audience inattiva o falsa.
I risultati di un blog o un profilo social dovrebbero crescere nel tempo con gradualità. Possono esserci delle accelerazioni a seguito di azioni o campagne di particolare successo, tuttavia i picchi troppo elevati o troppo ravvicinati potrebbero indicare attività opache. Tenere sotto controllo l’andamento del numero di follower e delle interazioni restituisce dunque informazioni utili sull’autenticità del profilo. Gli esperti suggeriscono inoltre di controllare la provenienza geografica dell’audience, che dovrebbe essere coerente con la lingua in cui l’influencer scrive o posta, e comunque non eccessivamente concentrata nei paesi dove la fabbrica dei fake è più attiva.
Verificata l’audience, la correttezza di un blogger si misura anche dal sistematico utilizzo dei cosiddetti ‘hashtag della trasparenza’ che, segnalando i contenuti sponsorizzati con #ad, #adv, #sponsorizzato, #sponsored, #omaggio, ecc., mostrano la volontà dell’influencer di costruire una relazione di fiducia con i propri interlocutori. Un’indagine condotta da Buzzoole ha concluso che uno dei settori più criticati – il fashion – è anche uno dei più attenti, con il 29% degli hashtag della trasparenza nel complesso usati in Italia nel 2018, seguito dal beauty (21%). Il recente pronunciamento dell’Antitrust, che ha portato Alitalia, la casa di moda Aeffe e diverse celebrity a impegnarsi pubblicamente contro la pubblicità occulta, rappresenta un passo importante per l’ influencer marketing proprio nella direzione di una crescente trasparenza.
Selezionato l’influencer giusto, realizzata la campagna, arriva per l’azienda il momento di misurare i risultati: alcuni studi internazionali, riportati sempre da Buzzoole, sottolineano il 53% dei direttori marketing considerano proprio la definizione dei KPI la sfida più impegnativa, mentre il 47% sarebbe disposto a pagare di più se riuscisse a capire l’impatto dell’influencer all’interno del customer journey.
Cosa misurare? Anche in questo caso non ha senso limitarsi al conteggio di fan e follower, oppure al numero di visualizzazioni di un contenuto. Meglio ragionare sul cosiddetto engagement rate, espresso come rapporto tra interazioni e reach, che consente di valutare il grado di interesse che il contenuto ha suscitato nelle persone raggiunte, ovvero il loro livello di coinvolgimento. Il metodo di calcolo varia da piattaforma a piattaforma, ed è utile anche correlare il sentiment delle interazioni, cioè l’orientamento positivo, negativo o neutro che gli utenti hanno espresso attraverso i loro commenti o feedback.
Molti altri indicatori possono essere studiati in base agli obiettivi specifici della campagna, con la possibilità di prevedere anche delle survey quanti-qualitative per misurare elementi come l’evoluzione della brand awareness o della reputazione a seguito dell’attività.
Fake e KPI sono quindi preoccupazioni lecite quando si avvia un progetto di influencer marketing, ma non dovrebbero diventare un ostacolo perché il gioco potrebbe valere più della candela: oltre l’80% dei consumatori si dice molto propenso a seguire la raccomandazione fatta da un influencer quando si tratta di scegliere un prodotto o un servizio.