Le fake news, il loro impatto sulla reputazione e le strategie migliori per difendersi sono un tema molto delicato per molte imprese. Non esiste oggi un unico modo per sopravvivere a testa alta in quella che viene chiamata l’epoca della post-verità: ne abbiamo parlato con Andrea Fontana, AD di Storyfactory, e Joseph Sassoon, partner di Alphabet Research, in occasione dell’incontro ‘Exponential Storytelling’ organizzato da OpenKnowledge per la Milano Digital Week.
Cosa fare quando si è oggetto (e vittima) di una fake news? Secondo i due ricercatori, occorre innanzitutto distinguere se siamo in presenza di una ‘notizia ostile’, cioè una manipolazione intenzionale della verità per attaccare una persona, un’azienda o un’organizzazione, oppure di una ‘notizia falsa’, che potrebbe essere tale per un errore o un’inesattezza, anche riportata in buona fede.
Nel secondo caso, il fact-checking è la risposta più sensata. Comunicare in modo trasparente la nostra versione della storia, confermata da fatti, numeri ed elementi oggettivi, è di solito una modalità efficace per smontare e correggere la notizia. Con un’avvertenza. Questa strategia non sempre basterà a fermare la diffusione virale della fake news che potrebbe, almeno in una prima fase, viaggiare più veloce della rettifica.
Se il problema è invece una notizia ostile, si possono valutare le vie legali, pur consapevoli della lunghezza e della complessità dell’eventuale iter giudiziario. Il fact-checking potrebbe essere una buona scelta anche in questa circostanza, ma occorre maggior cautela per non rischiare di gettare benzina sul fuoco. Di fronte a una notizia fortemente controversa che riguardi un brand, il pubblico tende infatti a polarizzarsi tra chi darà in ogni caso credito all’azienda e chi la attaccherà senza appello. Cercare di convincere tutti con la propria storia è dunque impossibile, potrebbe anzi attivare ulteriormente detrattori e complottisti. Meglio forse rivolgersi ai propri interlocutori-alleati, cominciando dai dipendenti o dai clienti più fedeli, per mettere i fatti in prospettiva e raggiungere grazie alla loro mediazione i cosiddetti fence-sitters, che non hanno un’opinione netta sulla questione specifica o sono comunque indecisi nel loro giudizio.
Oppure … possiamo osare una strada del tutto diversa, che è quella di prenderci gioco dei falsi e combatterli con ironia, usando i social come cassa di risonanza. Ci ha provato Diesel, aprendo lo scorso febbraio a New York un negozio molto particolare. In Canal Street, una delle strade più frequentate da chi cerca merce contraffatta a basso costo, si presenta Deisel, con un’insegna molto simile all’originale e soprattutto con i prodotti originali, di cui è stata però modificata l’etichetta.
L’effetto sulle persone è a tratti esilante (qui il video che raccolta l’esperimento) e chi ha comprato i jeans Deisel, convinto o meno che fossero Diesel, si trova oggi tra le mani i pezzi di una limited edition il cui valore è destinato a salire nel tempo.
Altro caso interessante è Miquela Sousa alias Lil Miquela, la modella e cantante che ha oltre 780mila follower su Instagram, posta foto che la ritraggono con abiti dei marchi più noti, raccoglie decine di migliaia di like e viene chiamata da tanti brand che vorrebbero usarla come influencer e testimonial. Attenzione: Miquela si comporta come una fashion blogger ma non esiste, è un personaggio creato al computer da un artista, al momento sconosciuto. Voleva forse dimostrarci che è possibile vivere – e guadagnare – facendo di se stessi un fake?