Le aziende provano a conquistare il pubblico con l’audio branding, e anche i media scelgono i podcast per arricchire il loro palinsesto. Ma non si tratta di audio news.
Cresce in tutto il mondo il consumo e il gradimento dei podcast, un genere che in Paesi anglofoni come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Australia ha ormai una diffusione di tutto rispetto. Il fenomeno, stando ai dati aggregati dalla piattaforma Voxnest, sta dilagando anche nelle regioni di lingua spagnola, mentre in Italia gli ascoltatori abituali di podcast sono circa 2,7 milioni, una comunità che secondo l’indagine di Nielsen per Audible è triplicata negli ultimi tre anni.
A differenza di altre geografie, nel nostro Paese i podcast si sentono soprattutto a casa (66% degli intervistati), in auto (28%), sui mezzi pubblici (18%) e al lavoro (9%). Particolarmente apprezzati i contenuti musicali (45%), le news (36%), i programmi di intrattenimento (28%) e approfondimento (28%), ma anche gli intramontabili corsi di lingua (20%).
Se alcune aziende stanno già cavalcando l’onda dei branded podcast e dello storytelling sonoro, l’opportunità è ghiotta anche per i media tradizionali, da alcuni anni alla ricerca di nuove strade per sfuggire al declino della carta e ritagliarsi uno spazio nell’arena digitale, possibilmente con un modello di business remunerativo e sostenibile nel tempo.
L’utilizzo dei podcast da parte dei grandi gruppi editoriali parte da presupposti leggermente diversi da quelli dei brand. Innanzitutto rispetto alla modalità di fruizione: se è vero che i podcast si ascoltano volentieri dallo smartphone, va detto che il loro consumo è del tutto diverso dall’immediatezza e la velocità del video. Non c’è una durata ideale, ma le ricerche indicano che le persone sono disposte a dedicare tempo e una certa dose di attenzione alla narrazione audio, che dunque può permettersi di lavorare su formati da 25-30 minuti, compatibili ad esempio con il tragitto casa-lavoro di gran parte dei lavoratori.
Inoltre, l’esperienza americana mostra che il podcast piace agli under 40, ma ancor di più agli over 55 con un buon livello di istruzione e reddito – proprio negli USA si registra un boom tra le donne afroamericane stile Michelle Obama. Questo rende il prodotto meno interessante per un’azienda orientata alle Generazioni Y e Z, ma certamente più premiante per chi punta a un pubblico disposto a spendere per dei contenuti di qualità.
Il modello podcast vede già degli esempi autorevoli, tra cui il New York Times (The Daily) e il Washington Post (Post Reports). Chi si aspetta la sintesi delle notizie del giorno resterà deluso: entrambi propongono un approfondimento quotidiano centrato su una o due storie, in un format che supera senza difficoltà i 20 minuti. Mentre il primo esce la mattina ed è condotto da un uomo, il secondo viene pubblicato nel tardo pomeriggio ed è firmato da una voce femminile, scelta condivisa anche da Today in Focus di The Guardian.
La strategia di creare prodotti ad hoc, e non proporre la versione audio degli articoli già disponibili sulla versione cartacea o online, è vincente anche per La Repubblica e Corriere della Sera. Dopo i riscontri più che positivi delle serie Dentro la Notizia, Rep:Digest e Super8, La Repubblica ha spinto l’acceleratore con Veleno, l’inchiesta in sette puntate sulla setta di satanisti pedofili scoperta vent’anni fa a Modena. Corriere della Sera ha invece cominciato l’anno scorso con Racconti mondiali, la serie dedicata ai campionati mondiali di calcio, e sta ora proseguendo con Solferino28, dieci puntate di circa mezz’ora che prendono spunto da un anniversario storico per parlare di attualità e cultura.
Parte di questi contenuti viene offerta gratuitamente, ma la vera scommessa degli editori è quella di usare i podcast per arricchire il proprio palinsesto con contenuti esclusivi e interessanti, recuperando il calo sempre più drammatico di lettori paganti e abbonati.