migranti
16 Luglio 2019
Migranti, populismo e polarizzazione, il fact checking non funziona

Quando si parla di un tema caldo come i migranti, un approccio data-driven finisce per peggiorare la reazione degli hater e dei complottisti.

È possibile per un giornale parlare di questioni socialmente scottanti in un modo che possa promuovere il confronto civile e il dialogo costruttivo? Quale stile di giornalismo intensifica la polarizzazione, e quale può mitigarla? In un’epoca in cui la fiducia nei media è scarsa e la politica populista porta avanti narrazioni parziali e provocatorie per avvelenare deliberatamente il dibattito pubblico, i giornalisti devono essere molto attenti all’impatto che il loro lavoro potrà avere.

Prendiamo un argomento controverso come i migranti. Benché il numero di arrivi in Italia sia drasticamente diminuito nel corso del 2018, la copertura sui media è aumentata, raccontando il fenomeno come una crisi permanente. Dall’insediamento del Governo Conte nel giugno 2018, il Ministro dell’Interno Matteo Salvini ha tenuto il tema in cima all’agenda politica con provvedimenti e dichiarazioni che hanno contribuito ad alimentare un senso comune fatto di pericolo, paura e rifiuto.

Poiché le notizie sui migranti tendono ad avere più attenzione di altre, nel 2018 l’Università Ca’ Foscari di Venezia ha lavorato insieme al Corriere della Sera e la London School of Economics ad un progetto di ricerca molto interessante, da cui è scaturita una recente pubblicazione dal titolo “Journalism in the age of populism and polarization”.

Sono stati analizzati tutti i post sul tema migranti pubblicati sulla pagina Facebook del Corriere dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2018, incluse le reazioni e i commenti, e tutti i contenuti postati sull’account Twitter ufficiale da marzo a dicembre 2018. Sono stati inoltre considerati 165 post Facebook preparati ad hoc dalla redazione per testare il feedback del pubblico rispetto a specifiche storie o tecniche narrative.

Lo studio ha indagato l’interesse e il coinvolgimento del pubblico sia in termini quantitativi, sia qualitativi, osservando il tono degli articoli e dei commenti, nonché misurando il livello di tossicità del linguaggio (ovvero l’utilizzo di parole volgari e aggressive, insulti o espressioni non rispettose) e le critiche rivolte al Corriere della Sera e i suoi giornalisti.

I risultati confermano che il fact checking non funziona. Quando sono state usate infografiche o un approccio data-driven, i ricercatori hanno osservato un immediato e netto rifiuto da parte degli oppositori, oltre a una critica feroce verso l’editore. Pubblicare opinioni forti inevitabilmente scatena un dibattito ad alta tossicità, ma anche i cosiddetti ‘casi umani’ – spesso preferiti per personalizzare la storia e aumentare l’empatia – hanno avuto esiti contrastanti. Questo genere di storie, soprattutto quelle che parlano di gruppi di migranti piuttosto che individui singoli, hanno infatti generato molti commenti negativi e una certa opposizione nei confronti degli autori.

Non stupisce che i contenuti dai toni imparziali e le inchieste più approfondite abbiano scatenato meno critiche, mentre la presenza di informazioni di contesto o la presentazione di soluzioni politiche abbia abbassato la tossicità del linguaggio nei commenti. Includere elementi visuali si è rivelata una delle modalità più efficaci per neutralizzare la reazione dell’audience, forse perché foto e video rendono il contenuto più veritiero, dunque difficile da confutare.

Il report integrale è disponibile qui.

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