Non ci fidiamo più delle istituzioni, tanto meno dei media. Il Trust Barometer 2022 di Edelman salva solo le aziende, cui le persone guardano in cerca di una voce autorevole e soluzioni verosimili a problemi globali – con ricadute squisitamente locali – come l’instabilità economica, i cambiamenti climatici, le ineguaglianze sociali.
Secondo questo studio, i media sono caduti in una spirale viziosa di sfiducia. La maggioranza delle persone ritiene che i giornalisti mentano (67% dei rispondenti a livello globale, in aumento di 8 punti rispetto a 2021), quasi uno su due definisce i media come forza divisiva nella società.
La fiducia in tutte le diverse fonti di informazione è diminuita nell’ultimo decennio. I social hanno patito il declino più rilevante (-8 punti), seguiti dai media tradizionali (-5) e i motori di ricerca (-3). Le persone sono sempre più preoccupate della disinformazione, il 76% teme che le fake news siano usate come un’arma e che i giornalisti non siano affidabili come fact checker.
Ma dove nasce questo disgusto? Accusata un tempo di essere parziale, serva dei ‘poteri forti’, oggi la stampa ha tutt’altro problema di reputazione.
Scrive Colbert I. King, editorialista del Washington Post: “Noi, i media, stiamo diventando un pilastro dell’industria dell’intrattenimento. Alla stregua del mondo dello spettacolo, di Hollywood e degli impresari teatrali, i produttori di informazione sono scivolati in una deriva in cui si preoccupano soprattutto di rendersi interessanti da leggere e guardare. Lo facciamo perché abbiamo lo stesso destino di Broadway, del circo e di un concerto: senza il coinvolgimento del pubblico, noi, proprio come loro, siamo niente”.
È forse questa commistione tra informazione, notizie che non lo sono e clickbaiting ad irritare di più e allontanare anche i lettori più affezionati (gli ultimi dati ADS sulla diffusione dei quotidiani e periodici italiani vedono numeri sempre più al ribasso).
Immaginando cosa succederà ai media nel prossimo futuro, diversi osservatori – il sito americano Politico e l’italiano Il Post, ad esempio – non temono tanto la fine della carta stampata o l’avvento di un’informazione totalmente disintermediata.
La paura è che gli editori, il cui modello di business in molti casi è ancora ancorato essenzialmente sulle copie vendute e i ricavi pubblicitari, tendano verso scelte estreme. Potrebbe così ampliarsi la forbice tra l’informazione di qualità, riservata a un’élite capace di riconoscerla e pronta a pagarla, e un’informazione imprecisa e poco verificata, mescolata alla pubblicità e interessi di parte, che resterà a disposizione di chi è meno privilegiato, economicamente o culturalmente.
I lettori e gli spettatori paganti sono parte della minoranza che ha fiducia nei media, ma questa distinzione tra chi può e chi non può, tra “Haves” e “Have Nots”, finirà per penalizzare chi avrebbe maggior bisogno di uno sguardo critico sul mondo.
Le bugie saranno gratis, e la verità a pagamento?