Quando i contenuti nascono dalle persone, siamo portati a credere siano più veritieri di quelli delle aziende. Ecco perché i brand inseguono gli influencer e giocano la carta degli user generated content
Lo storytelling di un brand può essere dirompente, ma non sarà mai efficace quanto ciò che raccontano le persone vere, soprattutto se sono amici o conoscenti prossimi. Lo confermano tantissimi studi: l’88% dei consumatori si fida delle recensioni pubblicate online da altri utenti come fossero scritte da propri contatti (TripAdvisor docet), il passaparola genera il doppio delle vendite dell’advertising, i Millennials trovano i contenuti prodotti dalle persone il 50% più credibili di quelli delle aziende.
Anche un target molto esigente come quello delle mamme con figli da 0 a 12 anni preferisce i brand capaci di raccontare storie autentiche, come afferma il 35% delle donne intervistate da Eumetra MR per Fattore Mamma in occasione dello studio Monitor Mamme 2018. Le storie aspirazionali, costruite ad hoc, piacciono solo al 14% del campione, mentre l’ironia è gradita dal 49%.
Come integrare l’esperienza delle persone nello storytelling di un prodotto o un’azienda? Una strada è quella di affidarsi a degli influencer, avendo cura di scegliere quelli più affini ai valori e al vissuto del brand. Nel progettare una campagna o un percorso comune, fondamentale lasciare a ogni ambassador la giusta autonomia e libertà espressiva per creare dei contenuti interessanti e rilevanti per la propria community: lo hanno fatto ad esempio Orogel, Henkel e Nilox, ma è una strategia sempre più popolare. Secondo l’Influencer Marketing Report 2018 di IED Milano e AKQA, il 65% delle imprese che investono in influencer engagement hanno aumentato il loro budget nel 2018, e il 79% lo farà crescere anche l’anno prossimo.
Altre aziende scelgono la strada degli user generated content, ovvero dei contenuti pubblicati più o meno spontaneamente da clienti e consumatori. Si tratta in questo caso di trovare il modo giusto per invogliare le persone a recensire un prodotto, farsi ritrarre mentre lo usa, mettere gli hashtag del brand nei propri post e nelle stories. Occorre essere pronti ad accettare uno scostamento – si spera minimo – dalle proprie linee guida e magari qualche critica, ma i risultati possono essere molto originali, come dimostrano i casi di Mediaset 6come6 o Peg Perego, oppure la recente campagna di ADMO. Capita peraltro che, quando non sono per nulla sollecitati, gli user generated content siano decisamente creativi … ricordate il piccolo Lucio goloso di Nutella, o le caramelle gommose trasformate in drink alcolici?
Una particolarissima forma di user generated content è quella che coinvolge dipendenti e collaboratori, che sono nel bene e nel male i primi ambasciatori dell’azienda per cui lavorano. Un esempio tra i tanti? Lo Storymaker Club di Generali. Perché i brand sono sempre più nelle mani di chi li vive ogni giorno, e rivendica la possibilità di partecipare al loro racconto con un’estetica e dei codici comunicativi del tutto personali.