Tutelare la salute delle persone, essere una fonte credibile di informazioni, dare un contributo a chi è in prima linea nell’emergenza: la parola d’ordine è responsabilità.
In un momento storico in cui la fiducia verso le istituzioni, la politica, i media e persino le ONG è in continuo calo, la reputazione delle aziende si gioca anche sulla capacità di prendere posizione su temi socialmente rilevanti (corporate activism), nonché rispondere in modo tempestivo ed efficace a situazioni di crisi come l’emergenza sanitaria in corso.
Reagendo alla pandemia Covid-19, le imprese hanno attivato i loro piani di crisis management che, come ricordato da Lisa M. Koonin in un articolo pubblicato sul Journal of Business Continuity & Emergency Planning, nello specifico dovrebbero rispondere a tre macro obiettivi: proteggere dipendenti e staff, assicurare la continuità di attività e processi, sostenere i clienti e la comunità.
La crisis communication è parte integrante di questi piani e, secondo le migliori prassi, dovrebbe orchestrare in modo sinergico il dialogo con i diversi interlocutori interni ed esterni, assolvendo a un dovere informativo, ma anche ad altre funzioni quali la rassicurazione e la motivazione delle persone. Aspetto molto delicato nel caso Covid-19, considerato che le aziende hanno chiesto ai collaboratori, dall’oggi al domani, di lavorare da remoto, oppure sospendere la produzione, oppure continuare a essere operative intensificando le misure di sicurezza, con un impatto individuale molto forte, anche a livello psicologico e morale. Più in generale, la crisis communication deve aiutare a dare un senso a quanto accade e sostenere la risposta dell’organizzazione.
Ma cosa si aspettano le persone dalla propria azienda? Alcune risposte arrivano dall’edizione speciale del Trust Barometer di Edelman, che confermano il ruolo dei datori di lavoro quale fonte autorevole di informazioni sulla pandemia. Se il 70% degli intervistati dichiara di seguire costantemente le notizie che arrivano dai media, il 63% vorrebbe aggiornamenti quotidiani anche dall’azienda.
Scienziati ed esperti sono voci molto apprezzate (meno i politici), ma il 54% segue con attenzione il proprio CEO, a cui spetta il compito non solo di gestire la contingenza, ma anche di elaborare già una nuova visione di futuro.
La ricerca evidenzia inoltre che l’azienda è spesso considerata meglio preparata del governo ad affrontare la crisi, ed è per questo che le aspettative sono molto alte quando si parla delle misure da mettere in atto. Quasi l’80% dei rispondenti pretende che l’organizzazione adatti velocemente strutture e processi per tutelare la salute dei lavoratori, attivi procedure straordinarie di sicurezza e faciliti in più possibile il lavoro da remoto. Il 73% chiede inoltre che siano salvaguardati gli stessi posti di lavoro, senza penalizzare chi si ammala, è sottoposto a quarantena o altri protocolli di prevenzione. Molto forte anche la richiesta alle imprese di contribuire alla risposta Covid-19, ad esempio attraverso donazioni in beni o denaro, ma anche mettendo a disposizione delle autorità le proprie competenze e risorse strumentali.
Di fronte alla pandemia Covid-19, la crisis communication è dunque chiamata a rispondere in modo responsabile a tre domande fondamentali: a) come l’azienda sta agendo per tutelare la salute dei collaboratori e delle loro famiglie, al tempo stesso assicurando la continuità delle attività; b) come sta lavorando per essere una fonte equilibrata e credibile di informazioni per gli stakeholder tanto interni quanto esterni; c) quale contributo concreto sta offrendo a chi è in prima linea nella gestione dell’emergenza.