Tutte le aziende vorrebbero collaboratori soddisfatti e motivati, perché – si sa – lavorano di più e meglio. Al di là della ricaduta positiva in termini di produttività e risultati, la felicità dei dipendenti è una priorità per molte imprese e dipende anche da una buona comunicazione interna. Se n’è parlato al Tempo delle Donne, la scorsa settimana a Milano.
Quanto sia importante la partecipazione e il coinvolgimento delle persone per il successo di un’azienda è cosa nota. I collaboratori engaged contribuiscono ad aumentare le vendite e la soddisfazione dei clienti, rendono i processi più efficienti, consolidano la reputazione del brand e le relazioni con gli stakeholder, stimolano l’innovazione, aiutano persino a prevenire le situazioni di crisi.
Un recente studio dell’Osservatorio Employee Relations and Communication dell’Università IULM ha sottolineato come spesso il concetto di engagement sia considerato in modo parziale, definendolo come la connessione psicologica ed emozionale con la mission e i valori aziendali. Si perde così la parte più importante, ovvero il coinvolgimento comportamentale, che traduce l’engagement in azioni a favore dell’azienda. La persona engaged partecipa alla vita d’impresa non solo impegnandosi a raggiungere gli obiettivi assegnati, ma anche esprimendo la propria voce. Si crea, in altre parole, quel volano positivo per cui il dipendente non ha timore di condividere idee e perplessità con i colleghi e il management, agisce come brand ambassador e, se necessario, difende la reputazione e l’onorabilità dell’azienda.
Per costruire un contesto organizzativo engaging occorre muovere strategicamente diverse leve, a partire da una gestione meritocratica e lungimirante delle risorse umane. La comunicazione interna è un ottimo alleato, a patto che sia autentica e ben concertata. Qual è la relazione tra comunicazione, engagement e felicità sul posto di lavoro? Le aziende intervistate da Valore D al Tempo delle Donne non hanno dubbi. Una comunicazione efficace è essenziale per incoraggiare la partecipazione delle persone, creare un clima di fiducia (presupposto di qualsiasi innovazione), favorire l’inclusione e la valorizzazione dei talenti.
Non c’è però consenso unanime sugli strumenti da usare per sollecitare il tanto auspicato coinvolgimento. Se in alcuni casi la tecnologia offre una risposta all’esigenza di rendere più fluido lo scambio di informazioni e la condivisione di conoscenza – si pensi alle piattaforme collaborative, i wiki, i sistemi di messaggistica, ecc., la cui adozione è spesso legata a programmi di smart working – manager e collaboratori hanno opinioni diverse.
Secondo l’Osservatorio dell’Università IULM, il management tende a pensare che siano sufficienti strumenti mediati come le e-mail, le newsletter, le intranet o i blog aziendali. I dipendenti ritengono invece più utili le riunioni e gli incontri diretti, meglio se in contesti informali, dove più facilmente si può instaurare quel dialogo che è una delle caratteristiche – e degli effetti – dell’engagement.