Gli shock che abbiamo vissuto negli ultimi anni, inclusa la pandemia COVID-19 e la guerra in Ucraina, hanno accelerato la transizione verso un ecosistema media più digitale, mobile e dominato dalle piattaforme. Ma la complessità dei cambiamenti politici, economici e sociali non ha fatto scattare nelle persone un maggior bisogno di informazione, piuttosto le ha fatte scappare dai media e dalle notizie.
È questo uno dei dati più interessanti nel Digital News Report 2023 del Reuters Institute, che ha indagato la dieta mediatica di circa 93mila individui in 46 paesi. Meno della metà (48%) si dichiara molto o estremamente interessata alle notizie, in netta discesa rispetto al 63% del 2017. La proporzione di chi evita le notizie resta vicina al 36% in quasi tutte le geografie, con la maggior parte delle persone che si informa solo su pochi temi specifici e salta i grandi fatti di attualità, ritenuti ripetitivi o emotivamente stancanti.
Il Report conferma alcuni dei trend di consumo dei media già osservati negli ultimi tempi: il pubblico dei mezzi tradizionali come la carta stampata e la TV continua a calare, ma online e social non colmano la differenza.
Lo vediamo in Italia, dove quasi tutti i quotidiani nazionali incluso Corriere della Sera e La Repubblica perdono lettori, e negli ultimi 10 anni l’informazione in TV ha visto scendere di 5 punti (dal 74% al 69%) la sua pervasività. L’uso dei social come mezzi di informazione è ancora doppio rispetto alla carta stampata e, sommato ai siti online, supera anche la televisione – ma anche i dati dei social sono in calo. Facebook resta la piattaforma preferita per cercare e diffondere notizie, ma soffre molto la competizione di YouTube e TikTok.
Con il portafoglio delle famiglie che risente della pressione dell’inflazione, è possibile che la crescita della propensione a pagare le notizie finisca per stabilizzarsi. Prendendo un campione di 20 paesi ad alto reddito pro-capite, Reuters ha rilevato che solo il 17% degli utenti totali paga l’informazione online – più o meno la stessa percentuale dell’anno scorso. La Norvegia ha la quota maggiore di paganti (39%), l’Italia ne ha il 12%, mentre Giappone (9%) e Regno Unito (9%) sono tra i paesi con i valori più bassi.
È così alta la qualità dell’informazione gratuita? Oppure le persone sono scontente delle notizie che pagano? Potrebbe essere anche una questione di fiducia. La ricerca di Reuters indica che la fiducia complessiva nelle notizie continua a diminuire e nell’ultimo anno ha perso altri 2 punti percentuali assestandosi al 40%. La Finlandia è il paese dove la fiducia è maggiore (69%), la Grecia è il fanalino di coda (19%). Il livello è abbastanza basso anche in Italia (34%), ma ci sono testate giornalistiche che godono di un apprezzamento ben sopra la media, come ANSA (78%) e Sky TG24 (71%).
A proposito di fiducia, il Digital News Report rileva uno scetticismo crescente verso gli algoritmi che selezionano le notizie che vengono proposte dai motori di ricerca, i social media e altre piattaforme online. Meno di un terzo delle persone (30%) pensa che vedere contenuti scelti sulla base della propria navigazione passata sia una buona idea, 6 punti percentuali in meno rispetto al 2016.
I dubbi sugli algoritmi rispondono alla più ampia preoccupazione sui meccanismi che portano giornalisti ed editori a cavalcare una certa notizia, e sul modo in cui il potere economico e politico di un paese o governo può influenzare il network globale dell’informazione. Se avevamo sperato che internet potesse dare voce alle istanze di un numero maggiore di paesi, magari poco considerati nello scacchiere mondiale, studi recenti mostrano uno squilibrio notevole nella produzione e diffusione delle notizie online.
Un gruppo di ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma e dell’Università di Firenze, coordinati dal professor Walter Quattrociocchi, ha analizzato quasi 140 milioni di articoli da 183 paesi, confermando che esiste un “club ricco e profondamente interconnesso” di paesi produttori di notizie.
Le loro conclusioni [riassunte nel paper “The Drivers of Global News Spreading Patterns”, maggio 2023] evidenziano come il PIL nazionale resti un elemento chiave per avere un peso nell’agenda mondiale dell’informazione, mentre altri elementi, come la prossimità geografica e aspetti culturali come la lingua, giochino un ruolo nelle dinamiche di diffusione delle notizie.