Nel crisis management, siamo abituati a considerare il fattore umano da un punto di vista ‘hard’, occupandoci della salute e dell’incolumità fisica delle persone, della loro sicurezza, della privacy, ecc. Una delle lezioni del Covid-19 è che anche il lato ‘soft’ deve sempre essere nel radar.
La pandemia Covid-19 non è affatto risolta, ma la vita sociale è ripresa, sono ricominciate le scuole e molti stanno tornando a lavorare in ufficio. Benché le aziende abbiano apprezzato (e un po’ approfittato) del lavoro da remoto durante il lockdown, ora la maggior parte delle imprese pensa sia tempo di eseguire finalmente i cosiddetti piani di ‘Return to Office’.
Non è una questione di produttività. Nella larga parte dei casi, i dipendenti possono lavorare da remoto tanto quanto in ufficio, se non di più, dunque il luogo fisico non influisce più di tanto sui risultati dell’azienda. La grande differenza sta nella soddisfazione e motivazione delle persone, in un certo senso nella qualità del loro lavoro.
Diversi studi hanno evidenziato che lavorare da casa tende a essere poco motivante per la maggior parte delle persone, soprattutto quando non si può scegliere da dove lavorare, come è accaduto durante il lockdown. Soffriamo la mancanza delle relazioni sociali, ma la psicologia comportamentale spiega che chi lavora da remoto finisce per concentrarsi su attività operative – di per sé non particolarmente gratificanti – e meno si impegna su progetti e questioni di ampio respiro o di natura strategica.
Smettere di pensare in modo creativo e limitarsi al minimo sindacale può diventare un problema per l’azienda, che è quindi portata ad accelerare il Return to Office con tutte le misure necessarie in fatto di sanificazione degli ambienti, dispositivi individuali di protezione, piani di emergenza. Ma i rischi del Covid-19 sono ancora alti e, mentre alcuni non vedono l’ora di tornare in ufficio, altri preferirebbero continuare a lavorare da casa perché preoccupati per la loro salute, in difficoltà con la gestione dei figli, oppure perché non sono convinti al 100% delle politiche di prevenzione messe in atto dal datore di lavoro.
Esiste una via di mezzo? Certo. Molte organizzazioni stanno proponendo modelli ibridi, lasciando a dipendenti e team la possibilità di bilanciare lavoro in presenza e da remoto per soddisfare sia le priorità del lavoro, sia le preferenze personale. Lo stanno facendo grandi imprese come Eni, Tim, Pirelli, Leonardo, ma anche piccole e medie realtà che non avevano mai sperimentato il lavoro da remoto prima del Covid-19.
I piani di Return to Office – tanto quanto le linee guida per il lavoro ibrido – sono fatti di processi, regole e procedure che aiutano le persone a comprendere e muoversi nel nuovo scenario. Un po’ di istruzioni ovviamente servono, ma non dimentichiamo l’impatto psicologico ed emotivo che questo tipo di cambiamenti può avere. Nel crisis management, siamo abituati a considerare il fattore umano da un punto di vista ‘hard’, occupandoci della salute e dell’incolumità fisica delle persone, della loro sicurezza, della privacy, ecc. Una delle lezioni del Covid-19 è che anche il lato ‘soft’ deve sempre essere nel radar.
Il lato ‘soft’ riguarda le emozioni, la salute mentale, i disturbi da stress post-traumatico, la leadership tossica, e molto altro. Mentre gli psicologi raccomandano alle imprese di prevedere servizi di ascolto e supporto, ricordiamo che già la comunicazione interna può fare molto: può contribuire a creare un ambiente di lavoro sereno, aumentare il coinvolgimento delle persone, costruire fiducia anche in un momento particolarmente stressante come questo.